martedì 21 gennaio 2014

Il fumetto e l'arte di provocare

Un interessantissimo volume della Tunue
in tema con questo post

Seguo sempre con interesse Gianfranco Manfredi. Come scrittore, ma anche per quello che "dice" su Facebook. Cose mai banali (e qui già vince), ma spesso anche profonde o, comunque, da approfondire.

Proprio qualche giorno fa, ho letto sul suo profilo:

In occasione della ristampa Mondadoriana di KRIMINAL E SATANIK , Luciano Secchi (Max Bunker) ricorda alcuni giudizi critici dell'epoca. "Sgangherati gorilla del brivido in storie a base di sesso, violenza e balbettanti scemenze" (Enzo Tortora). "Sono fumetti brutti, stupidi, gonfi di sangue come un tafano ubriaco; sono un losco affare, una trappola per i gonzi, una macchia sull'onorabilità dell'editoria nazionale" (Gianni Rodari)."Tecnicamente parlando, non sono male. Hanno il dono della rapidità e della sintesi, a differenza di tanti romanzi faticosi dove non succede mai niente" (Dino Buzzati). Chi è che ne capiva di più di fumetti?

Con una ulteriore aggiunta:

Mi chiedo spesso se in questa fase di "nobilitazione" del fumetto (mentre le vendite sono calate, considerando che Kriminal arrivò a vendere 300.000 copie e Satanik 200.000) , mi chiedo, dicevo, se non sia il caso di tornare a provocare.

Incuriosito da quanto detto, per una volta, invece di dire la mia, ho voluto sentire alcuni autori che conosco, incluso lo stesso Manfredi, allo scopo di rispondere a due domande. Ovvero:

-Alla luce di queste affermazioni, ci siamo chiesti: quale potrebbe essere la soluzione? E... perché non la si adotta?


-Inoltre: quale è stato il fumetto italiano più "provocatorio" che tu abbia mai letto?

E... l'ultimo, sempre italiano, ad aver avuto questa caratteristica?

Qui sotto il pensiero degli autori coinvolti.
Poche le banalità, molti gli spunti interessanti.




Gianfranco Manfredi


-Non mi riferivo a scelte di linea editoriale o redazionali, perché non mi competono. Mi riferivo a libere scelte degli autori. Ciascuno faccia le sue secondo la propria sensibilità e cerchi di sostenerle. Io ho l'impressione che lo stile "generalista" (se vogliamo paragonare il fumetto alla TV) cioè un linguaggio medio, per tutti accettabile, abbia fatto il suo tempo. Oggi in TV la svolta è stata data dalle serie dei canali pay, ciascuna delle quali ha un linguaggio (anche visivo) ben definito e distinto, e assai più estremo di quanto non si fosse visto in passato in televisione. In qualche caso più estremo anche di quanto si veda al cinema. L'età dell'omologazione sul "prodotto medio" è finita. Del prodotto professionale e "carino" non frega più niente a nessuno. Ci vuole maggiore violenza espressiva. E non ho paura di usare la parola "violenza" . La intendo nel senso di impatto emotivo forte sul lettore.


-Io stesso, ricordo, restai turbato da Kriminal. Preferivo Satanik perché le storie erano condite di elementi sexy e di non poca ironia. Ci siamo, forse, dimenticati, nel tempo, che il Tex delle origini era considerato un fumetto MOLTO violento. Ma fu questo il motivo per cui, alla fine, trionfò sulla "commedia" di Blek e Capitan Miki. Era più forte. Coinvolgeva di più emotivamente. Stessa cosa si è ripetuta con i fumetti degli anni 70. Si faceva a gara a chi provocava di più e già tra un Crumb e un Wolinski si notava un salto di "cattiveria" espressiva non da poco. L'ultimo fumetto "estremo" (in Italia) è stato il Dylan Dog delle origini: salti narrativi surreali, spruzzi di sangue come non si erano mai visti sui fumetti Bonelli, almeno un pizzico di sesso, ironia a manetta, nessun arretramento di fronte a temi difficili e tutt'altro che confortanti come quello della depressione, disegnatori di grande personalità che evitavano di sintonizzarsi su uno stile "medio". Su cosa si è fondato il suo successo, se non su tutto questo? Credo che da una ventina d'anni a questa parte ci siamo tutti seduti un po' troppo, con troppa autocensura politically correct nei testi e troppa standardizzazione grafica. E questa è ANCHE una riflessione autocritica.



Alessandro Di Virgilio


-Il fatto che è da un bel po' di decenni che non si assiste in Italia alla nascita di un fumetto "provocatorio" è indubbio, ma non so se, il crearne uno nuovo, possa bastare a colmare il divario di vendite dagli anni '60/'70 ad oggi.

Per tale calo le cause sono molteplici.
In primis il fatto che le "distrazioni" sono tantissime, a cominciare dai videogames.
Oltre, aggiungiamo lo scarso coraggio dell'editoria nel proporre qualcosa di "innovativo" (forse l'ultimo esempio è stato Dylan Dog), gli autori che, conseguentemente, si sono "seduti", la distribuzione che è un disastro, sia per le fumetterie, sia per le edicole, la scarsa attenzione data al fumetto per bambini/ragazzi e decine di altre cause che, al momento, non mi sovvengono.
Resta il fato che, da lettore, "roba forte" la trovo solo oltreoceano, con Millar (quando gli gira bene), Brubaker, Ellis, Kirkman, Bendis e naturalmente Ennis. Anche in questo caso ho dimenticato qualcuno, ma penso che il concetto sia chiaro e non penso che sia dettato esclusivamente da gusti personali.

-Parlerei, per quanto mi riguarda, di ultimi: Zanardi di Paz, Raxerox di Tamburini e Liberatore, Ramarro di Palumbo.



Pino Rinaldi


-Non ci sono soluzioni: il fumetto è morto, e non c'è nessun Cristo all'orizzonte a resuscitarlo. All'epoca di K.S. & D. la televisione aveva due soli canali in cui solo il lunedì ed il mercoledì trasmettevano film di 20 anni prima. La TV dei ragazzi un'ora al giorno. Non esistevano videogiochi, i ragazzi al cinema andavano al "pidocchietto", o per le grandi occasioni in seconda visione coi genitori. C'era poco per divertire la mente se non i fumetti, in pratica non avevano concorrenti. Oggi le 200.000 copie a fatica le vende (?) una sola grande testata, allora era la prassi. Negli anni 50 mi dicono che INTREPIDO vendeva un milione di copie. Quale soluzione esiste oggi se le 30/50.000 copie sono un successo?


-Non ricordo aver mai letto fumetti provocatori. Il fumetto nei bei tempi cavalcava l'onda, ora forse per gli acciacchi dell'età arranca col fiatone a stare dietro a quello che forse era provocatorio 20/30 anni fa.



Matteo Bussola


-A mio avviso non c'è soluzione, purtroppo. L'analisi di Gianfranco è condivisibile ma, come lui stesso ha sottolineato più volte, il problema più grosso in Italia è proprio che mancano i lettori. La gente non legge più. I fumetti sono ancora forse una piccola isola felice, nel senso che i lettori di fumetti in realtà non sono calati mai, sono sostanzialmente sempre gli stessi. Il problema è che mentre anche solo fino a quindici anni fa in edicola usciva - poniamo - dieci, oggi esce come minimo cento. E i lettori si sono semplicemente "spalmati", suddivisi all'interno di questa offerta più ampia e diversificata, facendo drasticamente calare le rispettive vendite per serie (pensando qui al mercato dell'edicola). Per queste stesse ragioni ritengo che oggi come oggi, il successo clamoroso, il boom generazionale (alla Dylan Dog a inizio anni 90, per capirci) sia praticamente impossibile. Parlando di ciò che conosco bene e da vicino infatti (il fumetto bonelliano) penso di poter rilevare che ormai i prodotti bonelliani abbiano uno zoccolo di lettori quasi fisiologico. Le uscite più recenti degli ultimi tre anni lo hanno dimostrato, il lettore compra il prodotto Bonelli nuovo quasi a scatola chiusa, sulla fiducia. Poi ognuno decide di proseguire/abbandonare a seconda dei propri gusti o delle proprie aspettative (confermate o deluse, e anche qui si aprirebbero orizzonti di discussione infiniti). E a nessuno, all'oggi, è ancora riuscito di catturare sti benedetti lettori "nuovi", dunque per prima cosa tocca tenerci ben stretti quelli che abbiamo.

L'unica soluzione pertanto, l'unica carta che possiamo giocarci noi autori, è cercare di scrivere/disegnare belle storie, magari senza stare a inseguire pedissequamente mode o generi specifici. Non ci resta altro da fare. Come ben sanno gli editori infatti le strategie, le analisi di mercato ecc., nel mondo del fumetto - almeno in Italia - sono praticamente inutili. Nessuno può prevedere un successo o quali siano gli ingredienti per ottenerne uno. Il lettore medio (che poi non esiste, dato che ogni lettore è "particolare") è impossibile da decifrare, resta un enigma. Purtroppo o per fortuna. Proprio per questo fare l'editore è un mestiere difficilissimo, perché significa scommettere ogni volta sul futuro.

-Il fumetto italiano più "provocatorio" che abbia mai letto credo per me rimarrà sempre "Zanardi" di Andrea Pazienza. Non perché sia un capolavoro (per quanto) ma complice anche l'età in cui lo lessi. Il me stesso adolescente non poteva non essere marchiato indelebilmente dall'iconicità e dalla potenza quasi archetipica di figure come Zanna, Petrilli, e Colas. Non mi riferisco solo al primo ciclo, attenzione, ma anche a quello un filo più "maturo" serializzato su Comic Art verso la fine degli anni '80. Una storia in particolare, quella in cui si sbattono in tre la madre dell'amica, mi è rimasta nel còr e per la mia ingenuità di sbarbo di provincia in tempi in cui Internet era ancora utopia, fu un vero shock.
Un solo fumetto riuscì a farmi lo stesso effetto, in un'età un filo più adulta. E fu "Preacher" di Garth Ennis e Steve Dillon, che secondo me al tempo aprì la testa a molti.
L'ultimo fumetto italiano ad aver avuto questa caratteristica è un lavoro realizzato assieme alla mia compagna ed uscito prima sul web e poi in edicola. Ma proprio perché coinvolto (molto più di quanto non riesca a dire) non lo nomino per non essere di parte. Chi sa, sa :)
L'ultimo fumetto letto di recente ad aver avuto questa caratteristica, invece, ed edito anche in Italia, è stato indubbiamente "Fashion Beast" di Alan Moore. Per due ragioni: la prima è quella di aver affrontato il mondo della moda e della vanità e della bellezza e dell'Amore da un punto di vista totalmente inedito e spiazzante. La seconda, quella più importante, è che è scritto da dio. E saper scrivere bene, con profonda conoscenza e controllo del medium, mettendo in campo i propri temi con forza, resta sempre la cosa più provocatoria di tutte.


Giuseppe Di Bernardo

Il fumetto, lo sappiamo bene, è un mezzo espressivo che può assumere molte forme e raccontare storie diverse. Lo è anche il cinema, naturalmente, che ha la traccia audio in più, mentre il fumetto può creare giochi grafico narrativi impossibili per altre forme espressive. Tutte le forme espressive possono essere alte o basse, dipende dal chi ne fruisce o le giudica. Il fumetto può essere poetico o triviale, perché è solo un mezzo. Ho pensato spesso che la cosa peggiore che sia successa al fumetto, è l'essere stato istituzionalizzato. Grazie a Umberto Eco, siamo passati dal vederlo come una lettura per cerebrolesi ignoranti, istigatrice della violenza, al considerarlo al pari della letteratura e con la dignità per frequentare i salotti buoni dell'intellighenzia. Gli autori si sono affrancati dal ruolo di feccia della cultura, ma contemporaneamente le vendite sono sprofondate. Non so se questi due eventi hanno una davvero relazione, ma a mio parere il fumetto popolare ha snaturato le sue caratteristiche. A scuola, il fumetto è passato dall'essere letto di nascosto sotto al banco, all'essere presentato dalla professoressa come lettura addirittura didattica. Il fumetto si presenta nelle librerie, ma avrebbe certamente più fascino se venisse proposto in luoghi ambigui, loschi e fumosi. Insomma, e parlo sempre di fumetto popolare, rinascerà soltanto se recupererà il suo ruolo dissacrante e scomodo, solo se dirà cose che gli altri mezzi mainstream non possono dire. Il punto è: con l'avvento della rete, ci sono ancora delle cose scomode da dire? Oppure internet già dice tutto?


Giorgio Salati

-La provocazione è un concetto che cambia a seconda dei tempi. Oggi provocare con il sesso e la violenza come fu negli anni ’60 per Kriminal, Satanik, ma anche Diabolik, non avrebbe senso e non scandalizzerebbe più nessuno. Dal punto di vista dell’intrattenimento popolare, questi fumetti hanno avuto un ruolo importante, ma i tempi sono diversi (non migliori né peggiori, solo diversi). La provocazione va contestualizzata. Perfino certe storie di Guido Martina su Topolino negli anni ’50 erano a modo loro provocatorie. Anche Tex, ai suoi esordi, era abbastanza violento e per certi genitori poteva risultare sconveniente, così come Dylan Dog e Splatter erano molto forti per essere fumetti degli anni ’80, quando violenza così estrema la potevano vedere solo gli over 14 o 18 al cinema (non un qualsiasi bambino che potesse accedere a un’edicola con 1300 lire in tasca).

Provocare, oggi, è molto difficile, soprattutto perché siamo rimasti ancorati alla vecchia idea che farlo significhi puntare su sesso e violenza. Oggi si leggono titoli giornalistici pieni di “provocazione”, “scandalo”, “choc” relativamente a una soubrette che fa vedere mezza tetta. Niente di più ridicolo e ipocrita. Si finge di provocare restando in termini di sicurezza e torpore sociale.

Per provocare nel 2014, bisognerebbe cercare di scardinare i luoghi comuni. I concetti preconfezionati della comunicazione “sociale” di oggi. I “partiti presi”, le posizioni assolute e l’atteggiamento forcaiolo che si legge spesso nei social network. Faccio un esempio: leggetevi il libro “Le avventure di Gunther Brodolini” di Alessandro Gori. Quella è provocazione vera. Dura, acida, fa malissimo. Mette in parodia la pedofilia, il tumore, la shoah, tutto ciò che di più orrendo e intoccabile esiste nel mondo. Mette in discussione ciò che pensiamo sia giusto o sbagliato. Non condivido metà delle cose che dice il Gori, ma i suoi argomenti sono come il ghiaccio nella schiena: danno fastidio eppure ti svegliano. Oggi è questo che bisognerebbe fare: provocare una reazione nella pigrizia mentale e morale che segue le discussioni “social”, tra gente che si insulta o si dà ragione a priori. I sorrisi forzati. La falsità dell’essere fighi a tutti i costi, finché c’è qualcuno che ti guarda da uno schermo. La convinzione di essere nel giusto a priori, finché io sono “la gente”. La cieca ferocia contro chi è “sbagliato” (politico, criminale, immigrato, pedofilo, fascista, comunista, scegli tu). E viceversa l’ipocrita esaltazione aprioristica della minoranza che più ci piace, che non è molto distante dall’antico mito del “buon selvaggio”.

Un pezzo che il Gori legge alle presentazioni del suo libro fa dell’umorismo sui down. La cosa fa molto incazzare alcuni, e fa molto ridere altri. La verità è che se si ha abbastanza cervello per non incazzarsi subito ma nemmeno di sghignazzare come i bambini delle medie, quel pezzo fa malissimo. Perché dopo le battutine ciniche usate come passepartout, racconta senza ironia le cose più brutte della vita di un down, e se sai ascoltare non ti viene da ridere ma da piangere. Ed è proprio quello che vuole fare il Gori. Non gli serve a niente partire con un pippone su quanti problemi hanno i down. Oppure dipingerli come persone fantastiche molto migliori di tutti noi e metterci dentro miele e confetti a profusione. Nessuno ti ascolta più, se dici queste cose buone e vere e giuste. Prima li prende in giro, e poi ti tira alcune mazzate pesantissime. E tu ti senti in colpa di aver riso. Si torna al vero significato di provocare: provocare una reazione, farti ragionare, cambiare il tuo modo di pensare.

Credo che oggi, se si vuole provocare, si debba partire da queste cose. Prendere la comunicazione preconfezionata che distingue i nostri tempi, e tentare di sovvertirla. Perché si sa che se il tuo pensiero influisce su ciò che dici, anche ciò che dici influisce sul tuo pensiero. A furia di ripetere certi concetti, si finisce per convincersene. E se si cambia la comunicazione, se si comincia a dire qualcosa di diverso, anche il pensiero comincia a modificarsi. E’ un piccolo terremoto. La comunicazione oggi è il perno di tutto. Cambi quella, hai cambiato il mondo.

-Non saprei dirti quello più provocatorio in assoluto, perché dimentico un sacco delle cose che leggo. Alcuni di quelli che mi sono rimasti più impressi sono Ranxerox di Tamburini e Zanardi di Pazienza, o comunque quelli del giro di Frigidaire. Zanardi parlava di droga in una maniera così cruda che penso fosse inedita per l’epoca.

Di fumetti recenti e provocatori ce ne sono, anche se può non sembrare. Uno dei migliori è senz’altro Don Zauker di Pagani e Caluri. Parlando sempre di religione, che in Italia resta tuttora un argomento spinoso, le loro belle provocazioni le hanno fatte Suore Ninja di La Rosa / Cardinali e Sky Doll di Barbucci / Canepa. Braccio di Culo di Tenderini (cui ho avuto la fortuna di collaborare in un paio di occasioni) può essere parecchio pesante. Badass dei Dr.Ink ha avuto l’abilità di provocare con i “cattivi sentimenti” usando anche Facebook come cassa di risonanza (anche con la mia complicità). Ma ci sono anche modi più sottili di provocare. Ho trovato che in Unastoria di Gipi vi fosse un elemento provocatorio di una certa importanza, di cui non parlerò per non fare “spoiler”. Ho trovato provocatori a un livello più “intellettuale” gli Scarabocchi di Maicol & Mirco, e Trama di Ratigher.


Insomma, i talenti non ci mancano, la capacità di provocare nemmeno. Forse non sono gli autori ad avere paura di provocare, forse spesso oggi sono gli editori a non volerlo fare. Probabilmente le vendite di fumetti sono talmente basse che nessuno ha voglia di rischiare grosso in quel senso. O forse ci siamo talmente rimbambiti che non siamo più disposti ad accendere il cervello. O forse ancora oggi si trova abbastanza provocazione in internet e videogiochi, e il fumetto da quel punto di vista è – erroneamente – visto come un medium invecchiato.


Diego Cajelli

-Capisco la questione, ma non condivido affatto il punto di partenza del ragionamento.
Un contenuto provocatorio potrebbe avere un valore immenso, forse anche in termini di "vendite" ad una condizione: che quel contenuto raggiunga il pubblico e che il pubblico lo riconosca come tale, nel bene e nel male.
Il mare di copie vendute negli anni che furono dei fumetti "neri" italiani dipendevano forse dai contenuti, letti in modo "negativo" dal pubblico dell'epoca che, comunque, indipendentemente da tutto, leggeva ancora oceani di fumetti.
Oggi si può essere provocatori quanto si vuole, ma nei confronti di chi?
Di un pubblico che non va più in edicola e che non legge fumetti?
Capisco che la linea di pensiero comune sia che il fumetto popolare non fa più i numeri di una volta per "colpa" dei contenuti che propone, ma purtroppo, e lo dico con un'immensa tristezza nel cuore, non è così.
Il fumetto popolare non fa più i numeri che faceva una volta perché, oggi, del fumetto popolare non frega più niente quasi a nessuno.

-Provocatorio in termini assoluti?
Anche qua, dipende che cosa si intende per "provocatorio".
Il più grande potere del politicamente corretto è quello di concederti delle parentesi "approvate" di politicamente scorretto. In più il concetto di provocazione varia a seconda dei tempi, della cultura corrente e della visione del lettore.
Per cui, legando la cosa alla storia del fumetto, dal mio punto di vista il fumetto più provocatorio mai arrivato in edicole è stato Kolosso di Faustinelli e Cossio.
Uscito nel 1964, rivolto alla marea di lettori che leggeva fumetti in quegli anni.
Tanto provocatorio e inusuale che non ebbe il successo che meritava.
L'ultimo fumetto italiano ad aver avuto questa caratteristica, se stiamo parlando di fumetto popolare da edicola, il nucleo narrativo di Suore Ninja non è certo accomodante. Però, se si vuole intendere la provocazione come frontale e disturbante, credo che sia necessario spostarsi verso l'undergorund, ecco... I comic books di Lamette sono fortemente e frontalmente provocatori.


Abbiamo raccolto i pareri degli autori: se vi va, qui sotto, diteci la vostra...

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